Una Notte Romana (1)
Questo post è il risultato di un “guanto di sfida” lanciato da Lucia qualche giorno fa. In pratica, partendo da una delle sue 5 notti da non dimenticare avrei dovuto provare ad estrapolare un racconto, immaginandomi nei suoi panni in una di quelle 5 situazioni.
Ammetto che non sia stato facile, anche perchè nei panni di una donna (sarei un 60x60x60 per 60 chili di peso) ci sto un po’ scomodo.
Oltretutto conosco Lucia solo da una decina di giorni.
Comunque questo è ciò che ho immaginato fosse successo quella notte a Roma.
Spezzerò il racconto in due puntate per non farmi addormentare.
Poi leggerò con attenzione i vostri commenti.
Ammetto che non sia stato facile, anche perchè nei panni di una donna (sarei un 60x60x60 per 60 chili di peso) ci sto un po’ scomodo.
Oltretutto conosco Lucia solo da una decina di giorni.
Comunque questo è ciò che ho immaginato fosse successo quella notte a Roma.
Spezzerò il racconto in due puntate per non farmi addormentare.
Poi leggerò con attenzione i vostri commenti.
«Libertà l'ho vista dormire
nei campi coltivati
a cielo e denaro,
a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato»
Non conoscevo ancora i versi di questa canzone di De André, ma sono sicura che niente avrebbe descritto meglio ciò che volevo fare in quella tiepida e dolce sera coccolata per l’occasione dal seno di mamma Roma, la città eterna, nella quale mi trovavo in gita scolastica. Tra i vari pensieri che vagavano senza meta per la mia mente ce n’era uno in particolare: la maturità ormai prossima. Non era tanto la paura degli esami a scalfire la fiera serenità dei 18 anni appena compiuti, quanto la consapevolezza che si sarebbe chiuso un periodo particolare, e felice, della mia vita: la fine delle bigiate (quello strano, virgineo, senso di fuga da una realtà troppo stretta), del filosofeggiare sul significato delle parole davanti al portone della scuola ancora chiuso, dell’”amor ch’al cor gentil ratto s’apprende”, del “tanto ci siamo sempre qui noi”, insomma… capivo che sarei cresciuta.
Faticavo a credere che proprio nella città eterna dovessi realizzare di vedere morire i miei momenti migliori.
Eravamo appena rientrati da un giro serale per la città, sotto lo sguardo vigile dei professori, e avevo ancora nello stomaco il vortice acquoso provocato da una birra di pessima qualità bevuta poco prima. Ero in stanza con Chiara, la mia migliore amica, con la quale avevo condiviso le paure per le interrogazioni, le confidenze sui primi amori e le prime frustrazioni. Sapevo che le nostre strade si sarebbero separate presto, io avrei studiato scienze politiche a Bologna e lei invece avrebbe deciso di partire per Milano per specializzarsi in scienze della comunicazione. Mi sentivo stranamente prigioniera di una realtà che non avrei mai voluto abbandonare. La birra gelata che avevo appena bevuto stava mettendo a dura prova la motilità del mio stomaco; il suo sapore orribile aveva invece già messo a dura prova il mio palato, che pure non è un raffinato intenditore di birra.
Sentivo uno strano calore addosso, da una parte provocato dal rifiuto del mio stomaco ad elaborare la pessima bevanda ghiacciata ma soprattutto provocato da una serie di voci interiori che urlavano e spintonavano per uscire. Voci interiori, voci dal buio, voci nella notte. Quella notte che mi ha sempre affascinato per il suo sguardo severo ma discreto, in grado di lasciare spazio a tutto, anche ai sogni.
Ora volevo che questa notte potesse diventare in qualche modo eterna. Nella città eterna.
Sentivo caldo.
Con un gesto deciso mi tirai indietro i capelli, poi sbottonai la camicetta, lentamente. Chissà cosa avrebbe pensato lui, se fosse stato lì a vedermi. Il solo pensiero mi fece trasalire di un brivido futile e breve. Lui non c’era. Non c’era più. Almeno per me.
Sentivo ancora caldo.
Provai ad aprire la finestra, ma il vento straordinariamente caldo della dolce notte romana di maggio mi negò il sollievo. Chiusi gli occhi, come facevo quando lui mi prendeva le mani. Il calore di quel vento mi ricordava quello del suo corpo. Pensai a casa, a come la gente di mare è abituata a vivere e convivere col vento, e di come in certe giornate il vento spazza e trascina via anche i granelli di sabbia, affondandoli nell’acqua salmastra del mare. Anche la vita a volte fa lo stesso con i tuoi sogni. Pensavo se chissà questa luna sorniona guardasse anche quel mare, quella riviera romagnola dove d’estate il vento e la luna si seducono a vicenda…
«Lucia, ma che fai?»
La voce allarmata di Chiara mi rubò a quella personalissima trance nella quale mi avevano immerso i miei pensieri.
Ero salita sul davanzale della finestra, quasi senza essermene accorta. I miei pensieri mi avevano preso amorevolmente per mano, allo stesso modo di come si conduce una sposa all’altare.
«Ma che fai?» Ripeté ancora più agitata Chiara.
Io le risposi sicura e conciliante.
Non conoscevo ancora i versi di questa canzone di De André, ma sono sicura che niente avrebbe descritto meglio ciò che volevo fare in quella tiepida e dolce sera coccolata per l’occasione dal seno di mamma Roma, la città eterna, nella quale mi trovavo in gita scolastica. Tra i vari pensieri che vagavano senza meta per la mia mente ce n’era uno in particolare: la maturità ormai prossima. Non era tanto la paura degli esami a scalfire la fiera serenità dei 18 anni appena compiuti, quanto la consapevolezza che si sarebbe chiuso un periodo particolare, e felice, della mia vita: la fine delle bigiate (quello strano, virgineo, senso di fuga da una realtà troppo stretta), del filosofeggiare sul significato delle parole davanti al portone della scuola ancora chiuso, dell’”amor ch’al cor gentil ratto s’apprende”, del “tanto ci siamo sempre qui noi”, insomma… capivo che sarei cresciuta.
Faticavo a credere che proprio nella città eterna dovessi realizzare di vedere morire i miei momenti migliori.
Eravamo appena rientrati da un giro serale per la città, sotto lo sguardo vigile dei professori, e avevo ancora nello stomaco il vortice acquoso provocato da una birra di pessima qualità bevuta poco prima. Ero in stanza con Chiara, la mia migliore amica, con la quale avevo condiviso le paure per le interrogazioni, le confidenze sui primi amori e le prime frustrazioni. Sapevo che le nostre strade si sarebbero separate presto, io avrei studiato scienze politiche a Bologna e lei invece avrebbe deciso di partire per Milano per specializzarsi in scienze della comunicazione. Mi sentivo stranamente prigioniera di una realtà che non avrei mai voluto abbandonare. La birra gelata che avevo appena bevuto stava mettendo a dura prova la motilità del mio stomaco; il suo sapore orribile aveva invece già messo a dura prova il mio palato, che pure non è un raffinato intenditore di birra.
Sentivo uno strano calore addosso, da una parte provocato dal rifiuto del mio stomaco ad elaborare la pessima bevanda ghiacciata ma soprattutto provocato da una serie di voci interiori che urlavano e spintonavano per uscire. Voci interiori, voci dal buio, voci nella notte. Quella notte che mi ha sempre affascinato per il suo sguardo severo ma discreto, in grado di lasciare spazio a tutto, anche ai sogni.
Ora volevo che questa notte potesse diventare in qualche modo eterna. Nella città eterna.
Sentivo caldo.
Con un gesto deciso mi tirai indietro i capelli, poi sbottonai la camicetta, lentamente. Chissà cosa avrebbe pensato lui, se fosse stato lì a vedermi. Il solo pensiero mi fece trasalire di un brivido futile e breve. Lui non c’era. Non c’era più. Almeno per me.
Sentivo ancora caldo.
Provai ad aprire la finestra, ma il vento straordinariamente caldo della dolce notte romana di maggio mi negò il sollievo. Chiusi gli occhi, come facevo quando lui mi prendeva le mani. Il calore di quel vento mi ricordava quello del suo corpo. Pensai a casa, a come la gente di mare è abituata a vivere e convivere col vento, e di come in certe giornate il vento spazza e trascina via anche i granelli di sabbia, affondandoli nell’acqua salmastra del mare. Anche la vita a volte fa lo stesso con i tuoi sogni. Pensavo se chissà questa luna sorniona guardasse anche quel mare, quella riviera romagnola dove d’estate il vento e la luna si seducono a vicenda…
«Lucia, ma che fai?»
La voce allarmata di Chiara mi rubò a quella personalissima trance nella quale mi avevano immerso i miei pensieri.
Ero salita sul davanzale della finestra, quasi senza essermene accorta. I miei pensieri mi avevano preso amorevolmente per mano, allo stesso modo di come si conduce una sposa all’altare.
«Ma che fai?» Ripeté ancora più agitata Chiara.
Io le risposi sicura e conciliante.
Sapevo dove mi avrebbero portata i miei pensieri.
9 Comments:
Una prima parte del racconto veramente meritevole...
Ma il finale mi ha lasciato l'ansia, quell'ansia di sapere come andrà a finire!
Bell'iniziativa che ha avuto Lucia.
Così a chi piace dilettarsi con i racconti, come piace a te, trova degli ottimi spunti.
Un altro ragazzo che a questo punto ti consiglio di leggere è Francesco da me linkato come Fra, è tra i primi.
A quanto pare lui sta proprio frequentando una scuola..oddio scuola, un' accademia comuque per poi pubblicare racconti.
Lui è da diverse settimane, che ci sta alietando con i racconti di Oscar. Ci regala piccoli raccontini ogni quattro cinque giorni...uppongo si stia allenando proprio attraverso il blog.
Visitalo, magari ti può interessare.
Un abbraccio e aspetto con ansia la seconda parte.
Sorpresa e sorridente transito sul tuo blog. Sorpresa perchè vedo che hai raccolto il guanto della sfida e sguainato la tua spada più affilata. Sorridente perchè è davvero straordinario seguire con lo sguardo il percorso che la fantasia e la creatività disegnano a partire da uno spunto qualunque. Grazie Pier, mi hai fatto ricordare qualcosa di quella notte che nemmeno io sapevo.
;-)
PS
La citazione a De André, poi, la trovo straordinaria.
Sonia: Grazie infinite per i tuoi complimenti, ci tengo sempre molto alle tue considerazioni!
Il finale penso che lo pubblicherò domani, intanto potresti immaginare un finale tutto tuo! :-)
Grazie per la segnalazione del blog, sicuramente andrò a dare un'occhiata!
Lucia: Sfide di questo tipo le accetto sempre volentieri! A volte mi piace mettermi nei panni degli altri e vedere gli stessi sogni coi loro occhi... Del resto le tue tracce erano già ben caratterizzate, e per un piccolo alchimista di parole come me certi aggettivi, i grassetti e i corsivi sono sfumature da colgiere al volo. Io e te abbiamo spesso parlato di dettagli, no? Ecco, questo racconto ne è l'esempio, perchè, bello o brutto che sia, è nato comunque da dettagli.
...E sempre restando in tema, la canzone citata è "Il suonatore Jones", ti ricorda nulla? :-)
passavo di quì solo per un piccolo salutino...
a presto...vi aspetto
www.paparazziamo.blogspot.com
Complimenti Pier, una dolcissima e bellissima parte del racconto.
Il finale lascia con il fiato sospeso, con la voglia di sapere cosa succederà...Non vedo l'ora di leggere il seguito.
Complimenti ancora.
So che non ci crederai mai, ma alcuni passaggi assomigliano a quelli che ho buttato giù io su un pezzo di carta, in attesa di avere più tempo per scrivere...
Un fortissimo abbraccio Pier, e ancora i miei più sinceri complimenti. Sei veramente bravissimo.
OT: sei stato nominato!
Paparazza: Benvenuta! Io però non ho un grosso feeling coi gossip...
Laura: Ti credo perchè leggo quello che scrivi, e perchè in effetti molte storie si assomigliano.
Ed è proprio per questo che vengono scritte e quindi lette!
Angioletto: OT = Off Topics (fuori argomento), abbiamo detto. Mò me lo segno...
Vedrò di onorare la tua nomination! :-)
"Il suonatore Jones" cosa mi dovrebbe ricordare?
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