Post N° 100
E’ un sabato di vento in questo angolo di terra Lomellina, sferzante quanto basta per scacciare temporaneamente la canicola di giugno e intirizzire delicatamente la pelle scoperta.
Non mi va di andare a sentire il gruppo che fa cover dei Rolling Stones.
Vago un po’ senza meta per strade randagie che tagliano campi di riso spaziati da granoturco acerbo, mentre l’eco delle risa di una telefonata appena conclusa riecheggia ancora stridente nelle mie orecchie.
Quelle risate sono già troppo lontane.
Lontane troppo.
Ma mi ha fatto piacere sentirle, in questo sabato animale.
L’auto viaggia piano sotto lo sguardo limpido di una luna brillante, che grazie al fard del vento si sente più bella e si specchia nel fiume.
Davide stasera fa il service per uno spettacolo di flamenco.
Quasi quasi lo vado a trovare.
Arrivo che lo spettacolo è quasi finito, faccio appena in tempo a vedere una schiera di bambini che arrampicano le loro piccole dita sulle tastiere delle loro chitarre classiche, e ricordo che quando cominciai a suonare scartai la chitarra classica proprio perché aveva il manico troppo grosso per le mie dita minute. Così mi buttai su quella acustica, alla faccia del dolore e dei calli più duri a causa delle corde in metallo.
Era tempo fa.
Ora il tempo lo scandisce una ballerina più sicura dei suoi apparenti 18 anni, che lancia sguardi improbabili verso la platea.
Lo spettacolo finisce e cominciano i ringraziamenti e la caccia ai cocomeri, mentre Davide smoccola perché un capriccio dell’interruttore generale gli ha fatto saltare un dimmer e due luci.
Non ha molto tempo per parlare, è preoccupatissimo di capire cosa è successo ai suoi gioielli e mi dice che deve assolutamente trovare delle brugole.
Resto da solo per un po’, con lo sguardo che sfarfalla qua e là per il teatro. Lo sguardo è quello di uno che cerca senza trovare. Qualcuno mi fissa con sospetto, come a chiedersi cosa ci sto a fare. Se me lo chiedesse gli risponderei male, anche perché non saprei dare una risposta.
La ballerina, scesa dal palco e tornata ai suoi abiti di ordinanza, mi concede ogni tanto qualche occhiata. Forse crede troppo nella sua parte.
Intanto Davide torna, trafelatissimo, col suo set di brugole. Gli faccio da assistente, più psicologico che elettrico, mentre svita con cura gli otto cilindretti metallici che proteggono il circuito di alimentazione della lampada. Arriva delicato ai fili come un chirurgo sperando che il fusibile abbia fatto il suo dovere, cioè quello di bruciarsi per proteggere tutto il resto. La sua speranza si realizza, la prima lampada è salva. Grazie ad un oggettino molto semplice ed economico.
Lo saluto facendogli un “in bocca al lupo” per le apparecchiature restanti. Lui, risollevato, ringrazia e mi promette che la prossima volta avrà più tempo per parlare e, chissà, suonare anche qualcosa insieme.
Ritorno a casa tra strade diritte e deserte, sempre accompagnato dallo sguardo curioso della luna guardona, e mi chiedo che cosa ci trovi di interessante nel guardare questo stretto angolo spento di Lomellina.
Non mi va di andare a sentire il gruppo che fa cover dei Rolling Stones.
Vago un po’ senza meta per strade randagie che tagliano campi di riso spaziati da granoturco acerbo, mentre l’eco delle risa di una telefonata appena conclusa riecheggia ancora stridente nelle mie orecchie.
Quelle risate sono già troppo lontane.
Lontane troppo.
Ma mi ha fatto piacere sentirle, in questo sabato animale.
L’auto viaggia piano sotto lo sguardo limpido di una luna brillante, che grazie al fard del vento si sente più bella e si specchia nel fiume.
Davide stasera fa il service per uno spettacolo di flamenco.
Quasi quasi lo vado a trovare.
Arrivo che lo spettacolo è quasi finito, faccio appena in tempo a vedere una schiera di bambini che arrampicano le loro piccole dita sulle tastiere delle loro chitarre classiche, e ricordo che quando cominciai a suonare scartai la chitarra classica proprio perché aveva il manico troppo grosso per le mie dita minute. Così mi buttai su quella acustica, alla faccia del dolore e dei calli più duri a causa delle corde in metallo.
Era tempo fa.
Ora il tempo lo scandisce una ballerina più sicura dei suoi apparenti 18 anni, che lancia sguardi improbabili verso la platea.
Lo spettacolo finisce e cominciano i ringraziamenti e la caccia ai cocomeri, mentre Davide smoccola perché un capriccio dell’interruttore generale gli ha fatto saltare un dimmer e due luci.
Non ha molto tempo per parlare, è preoccupatissimo di capire cosa è successo ai suoi gioielli e mi dice che deve assolutamente trovare delle brugole.
Resto da solo per un po’, con lo sguardo che sfarfalla qua e là per il teatro. Lo sguardo è quello di uno che cerca senza trovare. Qualcuno mi fissa con sospetto, come a chiedersi cosa ci sto a fare. Se me lo chiedesse gli risponderei male, anche perché non saprei dare una risposta.
La ballerina, scesa dal palco e tornata ai suoi abiti di ordinanza, mi concede ogni tanto qualche occhiata. Forse crede troppo nella sua parte.
Intanto Davide torna, trafelatissimo, col suo set di brugole. Gli faccio da assistente, più psicologico che elettrico, mentre svita con cura gli otto cilindretti metallici che proteggono il circuito di alimentazione della lampada. Arriva delicato ai fili come un chirurgo sperando che il fusibile abbia fatto il suo dovere, cioè quello di bruciarsi per proteggere tutto il resto. La sua speranza si realizza, la prima lampada è salva. Grazie ad un oggettino molto semplice ed economico.
Lo saluto facendogli un “in bocca al lupo” per le apparecchiature restanti. Lui, risollevato, ringrazia e mi promette che la prossima volta avrà più tempo per parlare e, chissà, suonare anche qualcosa insieme.
Ritorno a casa tra strade diritte e deserte, sempre accompagnato dallo sguardo curioso della luna guardona, e mi chiedo che cosa ci trovi di interessante nel guardare questo stretto angolo spento di Lomellina.