Frammenti di (Pier)Pioggia

Pensieri e parole alla ricerca di un'identità

venerdì, gennaio 26, 2007

Spaccacuore

Proprio in questi giorni mi sta girando per la testa questa canzone di Samuele Bersani.
Ci sarà un motivo?
Forse sì, c'è...
Trovo che Bersani sappia esprimere con frasi essenziali, magari a volte un pò acrobatiche, concetti importanti. Questo secondo me ne è un bell'esempio.



martedì, gennaio 23, 2007

Le 5 cose che non sapete di me (forse)

Con riferimento alla nomination di Angioletto, ecco le 5 cose che non sapete di me (cavolo, che inizio serioso :-o); l’ordine in cui appaiono non è casuale, ma è, diciamo, tutto mio…

Sono nato mancino e coi capelli color rosso rame. Poi i miei hanno pensato di correggermi (anche se ancora oggi qualche traccia della mia origine sinistrorsa è rimasta) e i capelli si sono schiariti, fino a diventare… trasparenti. Tracce della loro presenza si possono ancora reperire sul cuscino o sul pavimento (gli unici oggetti in grado di arrestarne la caduta)…
Non sopporto gli schemi e le “scelte da pecorone”; quindi non mi va molto a genio che mi si impongano le cose perché così fanno tutti. Sarà per questo che all’età di 7 anni, in un’età dove scegli la tua squadra del cuore e molti sceglievano juventus perché è quella che vince, io decisi di tifare per il Torino. A dire il vero credo che per la sua storia l’avrei tifato comunque, si vede che era proprio destino…
Spesso sono un autarchico: le cose, nel bene o nel male, le devo scoprire da me. E’ accaduto così anche con la chitarra, che ho imparato a suonare da solo. Ho provato per un paio di mesi ad andare a lezione, ma non c’era niente da fare, non capivo ciò che il mio insegnante diceva, né tantomeno i suoi spartiti. Quando si dice “vivere a orecchio”…
Pur essendo sempre stato una bestia in matematica ho scelto di fare ingegneria all’università. Potessi tornare indietro nel tempo è una scelta che non rifarei…
Mi sono innamorato due sole volte nella vita. E sono state due esperienze devastanti, due cicatrici che non ricuciranno mai, due capitoli chiusi da tante pagine bianche di silenzio. Ma non potevo lasciare che questi capitoli chiudessero anche il libro della mia vita. Certo lo hanno fatto diventare un po’ pesante. Ma ho ancora voglia di scrivere. L’inchiostro non è ancora finito, sarebbe stupido lasciarlo seccare. E ancora voglia di innamorarmi.

venerdì, gennaio 19, 2007

Una Notte Romana (2)

«Voglio vedere piazza Navona»
«Lucia, ma sei pazza? Sono le 2, andiamo a dormire!»
«Non sono pazza, Chiara. Non siamo pazzi quando troviamo la strada per inseguire i nostri sogni»
Feci un sorriso rassicurante a Chiara, che per un attimo sembrò ricambiare sollevata. Ma quando mi vide salire sul cornicione per fuggire, il suo viso si turbò senza dire una parola. Sapevo che non mi avrebbe mai fermata, così come sapevo che non mi avrebbe mai seguita.
Ci vuole coraggio per inseguire i propri sogni.
«Tranquilla, Chiara. L’albergo non è così alto. Non siamo pazzi quando inseguiamo i nostri sogni»
Lei accennò un sorriso frastornato, e i suoi splendidi occhi brillarono di una luce delicata e fredda, simile a quella della luna.
Il nostro albergo non era distante da piazza Navona, e nel percorrere quel breve tragitto mi sembrava di lasciare alle spalle tutti quegli strani pensieri che mi avevano attanagliato fino a qualche minuto prima. Loro erano rimasti là, sulla finestra, ad aspettarmi. In fondo erano pur sempre i miei pensieri. Non potevo abbandonarli del tutto. Sapevo che li avrei ritrovati al mio ritorno. Ma ero sicura che non mi avrebbero più fatto paura.
Piazza Navona è una delle piazze più caratteristiche e ricche di storia di tutta Roma, con le sue fontane dove un tempo si simulavano battaglie navali. Qui i giullari si fermavano per divertire il popolo, con grande soddisfazione anche da parte dei ricchi, i quali, divertiti a loro volta, gettavano denari dalle loro carrozze, aumentando così la gioia dei popolani. Potenza del divertimento.
Mi piaceva pensare di arrivare in quella piazza attraversando strade strette e un poco buie, ed ogni passo che facevo, sempre più concitato, sembrava un passo in meno verso una specie di libertà, della quale avevo assolutamente bisogno, pur non immaginandone la sue sembianze.
D’improvviso, eccola. Piazza Navona.
Più bella di come l’avevo sognata, con la Fontana dei Fiumi e le sue acque fluenti, magicamente illuminate come in un presepe senza tempo. E poi i caffè e i wine-bar, nel loro personalissimo crepuscolo indaffarato della prossima chiusura, i palazzi antichi a trasudare una storia nella quale ti sembra di vivere ancora oggi.
Per il passo svelto e per l’emozione, sentii il bisogno di fermarmi un attimo, e lo feci sedendomi lentamente sui gradini della Chiesa di Sant’Agnese, per ammirare avidamente quella meravigliosa cornice naturale che il lavoro e il genio dell’uomo hanno saputo creare perché ne potessero fruissero tutti. Per sempre. In eterno, appunto.
Ecco, in questa piazza, col cuore traboccante di emozione e stupore, ho creduto che fosse possibile fermare il tempo.
Davanti a quello spettacolo, quella notte, nella città eterna, capii che non sarei mai cresciuta.

mercoledì, gennaio 17, 2007

Una Notte Romana (1)

Questo post è il risultato di un “guanto di sfida” lanciato da Lucia qualche giorno fa. In pratica, partendo da una delle sue 5 notti da non dimenticare avrei dovuto provare ad estrapolare un racconto, immaginandomi nei suoi panni in una di quelle 5 situazioni.
Ammetto che non sia stato facile, anche perchè nei panni di una donna (sarei un 60x60x60 per 60 chili di peso) ci sto un po’ scomodo.
Oltretutto conosco Lucia solo da una decina di giorni.
Comunque questo è ciò che ho immaginato fosse successo quella notte a Roma.
Spezzerò il racconto in due puntate per non farmi addormentare.
Poi leggerò con attenzione i vostri commenti.

«Libertà l'ho vista dormire
nei campi coltivati
a cielo e denaro,
a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato»

Non conoscevo ancora i versi di questa canzone di De André, ma sono sicura che niente avrebbe descritto meglio ciò che volevo fare in quella tiepida e dolce sera coccolata per l’occasione dal seno di mamma Roma, la città eterna, nella quale mi trovavo in gita scolastica. Tra i vari pensieri che vagavano senza meta per la mia mente ce n’era uno in particolare: la maturità ormai prossima. Non era tanto la paura degli esami a scalfire la fiera serenità dei 18 anni appena compiuti, quanto la consapevolezza che si sarebbe chiuso un periodo particolare, e felice, della mia vita: la fine delle bigiate (quello strano, virgineo, senso di fuga da una realtà troppo stretta), del filosofeggiare sul significato delle parole davanti al portone della scuola ancora chiuso, dell’”amor ch’al cor gentil ratto s’apprende”, del “tanto ci siamo sempre qui noi”, insomma… capivo che sarei cresciuta.
Faticavo a credere che proprio nella città eterna dovessi realizzare di vedere morire i miei momenti migliori.
Eravamo appena rientrati da un giro serale per la città, sotto lo sguardo vigile dei professori, e avevo ancora nello stomaco il vortice acquoso provocato da una birra di pessima qualità bevuta poco prima. Ero in stanza con Chiara, la mia migliore amica, con la quale avevo condiviso le paure per le interrogazioni, le confidenze sui primi amori e le prime frustrazioni. Sapevo che le nostre strade si sarebbero separate presto, io avrei studiato scienze politiche a Bologna e lei invece avrebbe deciso di partire per Milano per specializzarsi in scienze della comunicazione. Mi sentivo stranamente prigioniera di una realtà che non avrei mai voluto abbandonare. La birra gelata che avevo appena bevuto stava mettendo a dura prova la motilità del mio stomaco; il suo sapore orribile aveva invece già messo a dura prova il mio palato, che pure non è un raffinato intenditore di birra.
Sentivo uno strano calore addosso, da una parte provocato dal rifiuto del mio stomaco ad elaborare la pessima bevanda ghiacciata ma soprattutto provocato da una serie di voci interiori che urlavano e spintonavano per uscire. Voci interiori, voci dal buio, voci nella notte. Quella notte che mi ha sempre affascinato per il suo sguardo severo ma discreto, in grado di lasciare spazio a tutto, anche ai sogni.
Ora volevo che questa notte potesse diventare in qualche modo eterna. Nella città eterna.
Sentivo caldo.
Con un gesto deciso mi tirai indietro i capelli, poi sbottonai la camicetta, lentamente. Chissà cosa avrebbe pensato lui, se fosse stato lì a vedermi. Il solo pensiero mi fece trasalire di un brivido futile e breve. Lui non c’era. Non c’era più. Almeno per me.
Sentivo ancora caldo.
Provai ad aprire la finestra, ma il vento straordinariamente caldo della dolce notte romana di maggio mi negò il sollievo. Chiusi gli occhi, come facevo quando lui mi prendeva le mani. Il calore di quel vento mi ricordava quello del suo corpo. Pensai a casa, a come la gente di mare è abituata a vivere e convivere col vento, e di come in certe giornate il vento spazza e trascina via anche i granelli di sabbia, affondandoli nell’acqua salmastra del mare. Anche la vita a volte fa lo stesso con i tuoi sogni. Pensavo se chissà questa luna sorniona guardasse anche quel mare, quella riviera romagnola dove d’estate il vento e la luna si seducono a vicenda…
«Lucia, ma che fai?»
La voce allarmata di Chiara mi rubò a quella personalissima trance nella quale mi avevano immerso i miei pensieri.
Ero salita sul davanzale della finestra, quasi senza essermene accorta. I miei pensieri mi avevano preso amorevolmente per mano, allo stesso modo di come si conduce una sposa all’altare.
«Ma che fai?» Ripeté ancora più agitata Chiara.
Io le risposi sicura e conciliante.
Sapevo dove mi avrebbero portata i miei pensieri.

giovedì, gennaio 11, 2007

Una storia d'amore

Come si fossero conosciuti e perché lei avesse accettato l'invito ad uscire con lui, forse lo sapremo soltanto alla fine di questa storia, perché è alla fine di qualcosa che si capisce il senso di tutto.
Era una bella serata, di quelle difficili da trovare nell'inverno prematuro della provincia, una provincia che di positivo aveva soltanto la vicinanza al mare, nella cui profondità molti hanno cercato di annegare le proprie preoccupazioni nella speranza che queste (sfiga delle sfighe) non fossero anche capaci di nuotare. E proprio davanti al mare si diressero, senza un'idea precisa di dove volessero arrivare.
Ma a volte certi sguardi e certi silenzi sono più logorroici di qualsiasi parola e, dal momento che puoi anche non sapere cosa vuoi ma riuscire lo stesso ad ottenerlo, quella stessa sera, in quelle stesse condizioni, si amarono. E' strano come la presenza (o l'assenza) delle persone riesca a cambiare anche qualcosa di inconfutabile come il mare o il cielo; quella sera infatti, dopo quello che era successo, a lui sembrava di essere in un posto diverso da quello conosciuto: era diverso l'odore della salsedine, diversa la consistenza della sabbia, diverso il suono lontano delle voci dei gabbiani, diversa insomma la stessa scena nella quale era cambiato soltanto un protagonista; forse perché l'amore è una specie di droga che deforma la realtà rendendola più bella di quanto è, o forse più prosaicamente perché l'ultima volta che era stato in quel posto vi era stato in un caldissimo giorno d'estate con l'equipe di lavoro per scattare fotografie sull'inciviltà dei turisti in spiaggia, e non venendo minimamente ascoltato da nessuno esclamò, mostrando una macchia scura sulla spalla: «Cazzo, qui non mi caga nessuno, a parte i gabbiani!».
Ma ormai quella era acqua passata. In quel momento contavano soltanto loro e quello che a loro era appena successo, e così scesero dalla macchina contemplando il teatro di stelle evitando accuratamente di fare troppo rumore, come si conviene agli spettatori attenti. A questo punto restano in silenzio; soltanto il rumore delle onde del mare fa da cornice sonora sbattendo le creste sugli scogli. Lui fa per accendere una sigaretta, poi ci ripensa e mentre sta per ritirare il pacchetto la guarda intensamente negli occhi, distoglie momentaneamente lo sguardo e poi pronuncia a mezza voce, come se stesse recitando un salmo proibito:
«Ti amo».
Lei resta visibilmente imbarazzata, per un attimo i suoi occhi riflettono la luce fioca e curiosa di una Luna guardona, quindi alza leggermente le spalle e abbassa lo sguardo, quasi a cercare delle risposte cadute sulla sabbia sotto forma di lacrime di sentimenti indefiniti ed indefinibili. Poi, lentamente, avvicina le labbra al suo orecchio, si fa coraggio e gli sussurra piano piano:
«...Vabbè, comunque sono lo stesso 30 euro...»
Tutto sommato gli aveva fatto un bello sconto.

lunedì, gennaio 08, 2007

I rompicoglioni da bar

Ciao a tutti voi e ben ritrovati in questo 2007!
Anno nuovo, vita nuova? Mah, chi lo può dire, per adesso vi propongo ancora un episodio inedito da bar, che come potete capire dal titolo non è così difficile da incontrare...

Questi personaggi non mancano mai, e spesso si materializzano anche in assenza di motivi specifici. In questo post però ci concentriamo sulla figura del rompicoglioni durante una partita a carte.
Intorno ai giocatori che si sfidano, se ci fate caso, gravitano una serie di spettatori che danno consigli su quale sia la giocata migliore da effettuare. Questo avviene quasi sempre da parte di soggetti che non sono stati mai visti giocare a carte in vita loro, pur millantando una conoscenza del gioco superiore a chiunque altro. Proprio per questo motivo sostengono di non volersi mischiare a giocare con i dilettanti. La posizione classica del rompicoglioni prevede che esso sia seduto con la sedia girata al contrario, ingobbito, all’altezza del tavolino, in modo da avere una visione più dinamica dello svolgimento del gioco. Per questa sua caratteristica esso viene spesso scambiato per un portacenere. Il rompicoglioni inizia seguendo il gioco in silenzio, dopodiché a metà partita comincia a scuotere il capo in modo indignato. In breve tempo comincerà ad emettere mugugni orgasmici di disapprovazione sempre crescenti, fino ad arrivare all’esplosione finale in cui esclama:
«Ma nooooooo!!!!!!!! Ma come si fa a giocare così??? Ma che gente siete?? Dovrebbero radiarvi dalla categoria, voi e chi vi ha insegnato a giocare!!!».
Anche se ci becca quasi sempre, va onestamente riconosciuto che un buon rompicoglioni, muovendosi continuamente in circolo attorno al tavolo come le lancette di un orologio, vede le carte di tutti e quindi sa sempre quale sia la giocata migliore.