Frammenti di (Pier)Pioggia

Pensieri e parole alla ricerca di un'identità

mercoledì, febbraio 21, 2007

E chi dorme?

D'accordo, è presto per andare a letto, ma come si potrebbe resistere a questa?

Ma ve la immaginate ascoltarla dal vivo????

mercoledì, febbraio 14, 2007

San Singolino

Per quelli come me, questo è quantomeno un giorno come un altro.
Non ho niente da festeggiare e a dirla tutta sono anche nauseato dello stucchevole bombardamento mediatico che circonda questa festa.
Insomma, tutto questo lo vedo come uno suonare a spartito, non so se mi spiego...
Ma comunque...
Quello che voglio lasciare (che contraddizione, "lasciare" proprio in questo giorno) è questa specie di dedica scritta da Massimo Gramellini il 14 febbraio 2003 sul quotidiano torinese La Stampa.


Dedicato ai cuori solitari per scelta. Altrui.


Quelli che sono stati appena lasciati e non ci stanno.
Quelli che ci starebbero anche, se solo trovassero qualcun altro disposto a stare con loro.
Quelli che fanno gli innamorati di riserva e da svariate festività aspettano che lui/lei lasci il titolare.
Quelli che «io dall’amore non mi aspetto più niente», ma sperano ancora di aver detto una bugia.
Quelli che non sanno che sapore ha un bacio, o non se lo ricordano più, e oggi mangeranno troppi cioccolatini.
Quelli che se lo ricordano benissimo e mangeranno troppi cioccolatini lo stesso.
Quelli che «ma come cantava Baglioni, strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo?»
Quelli che «ma fammi il piacere!» e alzano la testa, così, per controllare.
Quelli che la testa non la alzano più e invece gli farebbe bene.
Quelli che leggono che oggi, san Valentino martire, gli italiani spenderanno 800 milioni di euro in fiori, peluches, messaggini telefonici e cene a base di carciofi e pensano: «Dove andremo a finire?»
Quelli che vorrebbero finire proprio lì, sepolti da fiori e peluches, a scambiarsi messaggini fra i carciofi.
Quelli che «se potessi tornare indietro» o «se riuscissi ad andare avanti» e intanto intralciano il traffico.
Quelli che si sentono esclusi, sconfitti, diversi, incompresi, inadeguati: soli, eppure sono tantissimi.
Quelli che non sentono più niente e, dopo averlo rincorso invano, adesso scappano dall’amore.
Quelli che tanto l’amore prima o poi li raggiunge.

giovedì, febbraio 08, 2007

Lettera al padre

Caro babbo,
è passato molto tempo dall’ultima volta che ti ho scritto una lettera; quella era anche la prima volta, il 10 febbraio 2004 poco prima di venire a prenderti all’ospedale… per l’ultima volta.
Primo e ultimo, inizio e fine.
Loro ci sono sempre.
Come cantava Guccini e poi i Nomadi (forse ti ricordi che li ascoltavo spesso) la morte e la vita non cambiano mai.
Qualche giorno prima eri deluso per il fatto che i medici dell’ospedale (tra i quali quello che non aveva capito niente di ciò che stava succedendo al tuo cuore) non ti lasciassero tornare a casa per vedere il posticipo serale Torino – Bari. Nella lettera di allora ti avevo raccontato anche di quella partita, mi rendo conto che non avesse senso ma era forse l’inconscio vizio assurdo di attaccarsi alle cose terrene superstiti, come per cercare un po’ di presenza rassicurante e tenersela stretta. Mi è tornato in mente che Torino – Bari è stata anche l’ultima partita che abbiamo visto insieme allo stadio, era l’ormai lontano 1995. Ma non voglio perdermi nella ricerca di coincidenze o del tempo perduto, le cose andate sono andate e dove sei tu adesso il tempo probabilmente non ha alcun significato.
Io lavoro ancora dove sapevi tu, adesso ho più responsabilità addosso ma credo che saresti contento di questo. Ricordo ancora come lo eri quando ho ottenuto lo scatto di anzianità, così come ricordo di come aspettavi la mia laurea, la cura con la quale abbiamo scelto il posto dove incorniciarla, insieme alla foto della proclamazione.
Avevi ragione tu, se continuavo a vedere quella ragazza che abitava un po’ lontano un motivo c’era eccome, però mio malgrado avevo ragione anch’io a dire che quella storia non sarebbe mai andata oltre. A proposito, ho perso anche lei, in un tiepido pomeriggio di ottobre dello stesso anno. Lei però se n’è andata per scelta, prendendo un'altra strada.
Se mi guardo indietro niente sembra essere cambiato davvero, purtroppo; ciò che mi mancava 3 anni fa mi manca ancora oggi. Anzi, da allora mi mancano anche altri 3 anni.
Ma non ti volevo certo scrivere solo per renderti triste, anche se questi giorni sono sempre un pò così.
Volevo dirti che ripensando a quei giorni, mi viene in mente il tuo provare lo stesso a sorridere e soprattutto la tua capacità di reagire dopo i vari ricoveri.
Sei o sette ricoveri, non ricordo bene.
Dopo qualche giorno a casa eri già lo stesso di prima. Io non se avevi mai paura dell’insorgere di una nuova crisi, però se fosse stato così non me sono mai accorto. E sono sicuro che ci tenevi a non farmelo capire.
Credo che senza scalare montagne o fare giri del mondo tu mi abbia lasciato un messaggio speciale che si chiama voglia di vivere, voglia di continuare.
Attraverso cose semplici, come il saper apprezzare e assaporare i dettagli di tutti i giorni.
Per questo ti dico Grazie, Papà.
Ti voglio bene...

giovedì, febbraio 01, 2007

Giri di vite

Un addio è una lettera
Strappata senza esser letta
È un bacio senza labbra
È il destino che non aspetta

Terra senz’acqua
Trapassata dal vento
Incapace di crescere
O di cogliere il momento

Sole senza luce
Velato dalla stessa foschia
Un abbraccio al suo silenzio
Che tutto mette via